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  • L'USPPI ha la missione di tutelare i diritti dei professionisti, esercenti cioè professioni regolamentate, ricercatori, esercenti professioni non regolamentate, alte professionalità e quadri nella loro attività e nelle diverse tipologie di rapporto di lavoro dipendente, atipico e autonomo.

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[20/11/2009] - [20/11/2009]     Italia
Nas, a finti dentisti e infermieri

Solo negli ultimi 10 giorni i nuclei del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute dislocati sul territorio nazionale hanno rilevato un totale di 14 casi di esercizio abusivo della professione sanitaria e 4 strutture adibite ad attività medica non autorizzate. In totale sono 34 le persone denunciate per esercizio abusivo della professione sanitaria e 4 per attivazione di ambulatori Medici non autorizzata. Sequestrate 10 strutture tra depositi all'ingrosso di farmaci, studi odontoiatrici ed ambulatori fisioterapici, per un valore di diversi milioni di euro. Ben 7 i casi di odontotecnici che si spacciavano per dentisti. In 6 casi tale pericolosa irregolarità è stata agevolata dalla condotta dei Medici titolari degli ambulatori, che hanno messo a disposizione i loro studi e, per questo, denunciati anch'essi. Rilevante il caso scoperto dai carabinieri del Nas di Ancona in provincia di Macerata che hanno individuato 12 operatori di una casa di riposo che somministravano medicinali e praticavano iniezioni di insulina agli anziani ospiti della struttura, pur non essendo in possesso di alcuna qualifica sanitaria. Nel novero delle irregolarità riscontrate non mancano i falsi Medici di origine extracomunitaria, spesso operanti nel campo delle medicine alternative e tradizionali. Indicativo il caso scoperto dai carabinieri del Nas di Firenze che hanno scoperto, in provincia di Prato, un deposito all'ingrosso gestito da 3 cittadini cinesi improvvisatisi farmacisti, contenente, tra l'altro, centinaia di medicinali di provenienza cinese, non registrati in Italia e destinati alla distribuzione. Dai Nas di Genova, Catanzaro e Bari denunciati altri 3 cittadini extracomunitari, operanti come fisioterapisti ed infermieri.

(MP – 20/11/2009)
[13/04/2010] - [13/04/2010]     Unione Europea
Riforme Liberi Professionisti



di Giuliano Cazzola (vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera)

Come tutti i mercati anche quello del lavoro è costituito dall’incontro tra la domanda e l’offerta. Nel caso dei liberi professionisti, la domanda è costituita dai clienti che chiedono prestazioni specifiche (ecco l’offerta), contraddistinte da elevati contenuti di conoscenza ed esperienza, dotate di valore «certificativo», in quanto eseguite da un professionista «titolato», abilitato dalla legge ad effettuare le prestazioni stesse. Il profilo del libero professionista è, dunque, fortemente condizionato da un contesto di norme (vigilato da Ordini e Collegi), che definisce il percorso scolastico e formativo necessario, sancisce le prove autorizzative nonché le regole di comportamento per l’esercizio della professione. Questi lavoratori camminano, dunque, su di un tapis roulant eterodiretto (dal legislatore) che ne condiziona non solo il numero e l’appartenenza, ma tutti gli aspetti economici e normativi. Le potenti lobby delle professioni fino ad ora sono riuscite ad «allontanare l’amaro calice» delle riforme, sottraendosi, in primo luogo, alla tenaglia liberalizzatrice della Unione europea. Il capolavoro delle libere professioni anni or sono fu quello di dribblare la direttiva Bolkestein, prima ancora che la direttiva stessa venisse snaturata nel 2004 e diventasse ex Bolkestein (è questo il titolo con cui viene ricordata quella proposta di direttiva del 2004). Eppure in quel contesto si arrivò ben presto al cuore del problema. “L’obiettivo della proposta – era scritto – è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri e che garantisca a prestatori e destinatari dei servizi la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato”. La proposta copriva un’ampia varietà di attività economiche di servizi “con talune eccezioni, come i servizi finanziari”. Da queste premesse si passava all’indicazione di misure soft (semplificazione amministrativa come gli sportelli unici presso i quali il prestatore potesse sbrigare le procedure autorizzative, anche per via elettronica; divieto di procedure eccessivamente restrittive) per giungere al clou che finì per segnare il destino della ex Bolkestein. Al fine di eliminare gli ostacoli, la proposta prevedeva il principio (accompagnato da una serie di deroghe) del paese d’origine, in forza del quale il prestatore era sottoposto unicamente alla legislazione del Paese in cui era stabilito. Agli Stati, inoltre, veniva fatto divieto di imporre restrizioni ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. La medesima proposta riconosceva il diritto dei destinatari di utilizzare servizi di altri Stati membri senza che ciò venisse impedito attraverso misure restrittive del loro Paese o da comportamenti discriminatori di autorità pubbliche o di operatori privati (questo punto chiariva altresì il delicato aspetto del rimborso delle cure sanitarie prestate in un altro Stato membro); prevedeva forme di assistenza al destinatario utilizzatore di servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro; introduceva la normativa riguardante il distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi nonché la ripartizione dei compiti tra Stato membro d’origine e Stato membro di destinazione con le relative modalità delle procedure di controllo. Un emendamento escluse i professionisti dalle pur limitate innovazioni scampate dal ridimensionamento della direttiva. Ma la platea dei professionisti in attività non potrà sfuggire ancora a lungo dalle profonde trasformazioni derivanti dai processi di integrazione dell’economia dei servizi nella Ue, quando tali processi riprenderanno a spiegare al vento le loro bandiere. Nella passata legislatura ci furono le c.d. lenzuolate del ministro Bersani che introdussero alcune limitate liberalizzazioni anche nel campo delle libere professioni. In questa è all’esame del Senato la riforma della professione forense. Gli avvocati sono i «metalmeccanici» dei liberi professionisti, nel senso che sono la categoria più introdotta nel sistema di potere. Si sono accorti che, ormai in numero di 220mila, è divenuto sempre più complicato svolgere la propria attività e fare posto ai nuovi entrati, ai giovani che intendono anch’essi iniziare la professione. Il segno della riforma tende a proteggere gli insiders. Vengono posti dei limiti all’accesso e sono ripristinate le tariffe minime. Il complesso di tali eventi produrrà inevitabilmente degli effetti sull’equazione fondamentale sottesa a qualunque sistema pensionistico a ripartizione: il rapporto tra attivi e pensioni ovvero tra quelli che hanno in carico il finanziamento mediante i loro versamenti contributivi e quanti, ormai in quiescenza, percepiscono un assegno previdenziale. Gli stessi gruppi dirigenti delle Casse privatizzate che, per anni, hanno fondato le loro analisi ottimistiche su di una prospettiva di costante crescita dei contribuenti, si stanno accorgendo che l’incremento del numero dei professionisti (sfornati dalle Università spesso senza criteri razionali) è destinato ad entrare in contraddizione con la stabilità e la continuità del reddito necessarie a garantire l’equilibrio del sistema. Le libere professioni, infatti, stanno diventando il rifugio di una condizione di precarietà intellettuale molto diffusa; non idonea, quindi, a garantire flussi finanziari adeguati. I cambiamenti, come quelli preconizzati per l’avvocatura, finiranno inevitabilmente per rendere più difficile la sostenibilità di sistemi pensionistici «chiusi» (come sono le casse dei professionisti), i quali, negli ultimi tempi, hanno onorato le generose promesse - solitamente garantite dai modelli a ripartizione - alle prime generazioni di pensionati che si sono avvalse del calcolo retributivo (finalizzato a salvaguardare il reddito acquisito nell’ultima fase della vita lavorativa), ridistribuendo ai professionisti prossimi alla quiescenza, gli avanzi di gestione derivanti dal rapporto attualmente favorevole tra attivi e pensioni. Un rapporto che ora è destinato a logorarsi rapidamente.

(MP – 13/4/2010 - da L’Occidentale)